mercoledì,21 Maggio,2025
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Un ricordo riapparso: mister Michetta

È un ricordo riapparso questa mattina durante un giro sulla bacheca di Facebook. Confesso che dopo aver letto questo nome mi è venuta un po’ di nostalgia: Mister Michetta

Correva l’anno, come si suol dire, 1988 credo. Può darsi che sbagli forse di un anno ma poco importa. Era se non la prima, una delle primissime uscite in notturna ovvero dopo cena con gli amici. Abitavamo tutti più o meno nella parte ovest della città: chi più in periferia come il sottoscritto, chi più verso Piazza de Angeli. Nessuno di noi aveva la macchina né il motorino e quindi ci si spostava con i mezzi pubblici.
Non ricordo per quale motivo scegliemmo la zona naviglio ma credo fosse per un discorso squisitamente di praticità. Ricordo che con me c’era sicuramente Paolino, probabilmente Roberto e forse Davide.

Quello che ricordo molto bene è la passeggiata fatta lungo la darsena, una darsena che nulla ha a che vedere con quello che si può ammirare oggi; attraversata la strada davanti a noi i locali lungo il naviglio grande.
Mister Michetta era il primo o forse il secondo sul lato sinistro ( cercando di essere preciso: non ricordo la posizione esatta ma sicuramente era uno dei primi) quindi non me la sento di escludere che la scelta di entrare proprio lì fosse stata fatta per evitare di buttarci troppo nella mischia.

Sicuramente il nome è rimasto in mente o quantomeno ci ha colpito: l’unione di un termine inglese con uno molto milanese può essere che all’epoca abbia fatto nascere la curiosità di provare, a maggior ragione essendo una delle prime volte che si usciva la sera.

Purtroppo non ricordo come andò la serata: saremo entrati davvero? Avremo consumato, mangiato e bevuto? Non lo ricordo. Ma sono sicuro che anche in quel frangente Paolino ed io saremo riusciti a discutere sull’uso del termine prestinaio. Non sopportava che si usasse questo nome per indicare il panettiere: che volete, la sua origine ligure era evidentemente preponderante.

A scanso di equivoci: mister michetta non era un prestinaio, ma un locale.

ricordo
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Pusterla di Sant’Ambrogio, la superstite

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Pusterla di Sant’Ambrogio: restaurata nel 1938 è l’unica sopravvissuta delle 12 che è un tempo si alternavano con le porte principali lungo le mura di Milano.

Osservando i disegni di un tempo ci rendiamo conto che la Pusterla di Sant’Ambrogio è particolare: avendo due ingressi con a fianco 2 torri quadrate, ha più l’aspetto di una porta piuttosto che di una pusterla.

Costruita attorno al 1160 quando i milanesi tornarono dopo la distruzione del Barbarossa,  durante il medioevo fu l’unico sbocco verso piazza Sant’Ambrogio anche se con l’apertura in seguito di via San Vittore, perse buona parte delle sue funzioni. La torre di sinistra infatti venne abbattuta per costruire la casa di un canonico mentre quella di destra venne incorporata a San Michele al dosso.

Guardando la Pusterla dalla parte esterna si nota la statua di Sant’Ambrogio tra Gervasio e Protasio: una volta l’avremmo vista sulla facciata dell’ospedale di Sant’Ambrogio che sorgeva lì di fronte; demolito nel 1700, si persero quasi tutti resti tranne appunto il tabernacolo che venne donato al Comune di Milano e applicato dove possiamo vederlo ancora oggi nel 1940.

Curioso ricordare che proprio dalla torre della Pusterla di Sant’Ambrogio milanesi spiarono l’esercito di Lodovico il Bavaro sistemato nel monastero di San Vittore durante l’assedio del 1329.

pusterla sant' ambrogio
pusterla sant’ ambrogio

Gaspare Rosales, una via mazziniana

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Gaspare Rosales, patriota, nasce a Milano il 10 agosto 1802. Frequenta il collegio gesuitico di Urbino e poi il liceo di Porta Nuova di Milano. Rimasto orfano di padre a diciotto anni eredita l’intero suo patrimonio. E’ un giovane irrequieto, prende fuoco facilmente: per un banale diverbio per l’occupazione di un palco alla Scala si sfida in duello con il Conte Eduard Clam-Galles nel 1823, a Vico di Como.

Intreccia una relazione clandestina con Maria Cingalini della Torre di Rezzonico, moglie del conte Antonio Dal Verme, da cui avrà una figlia nel 1827, dopo la sua separazione dal marito. Gaspare Rosales conosce Giuseppe Mazzini e, condividendone gli ideali, aderisce alla Giovine Italia, diventandone uno dei principali finanziatori e referenti per la Lombardia.

Viene arrestato nel 1832 e condotto nelle carceri di Porta Nuova. Grazie alla prontezza di un fido cocchiere che brucia le carte compromettenti custodite nella sua villa di Buscate, cinque mesi dopo viene rilasciato per insufficienza di prove. Giusto in tempo per vendere tutte le sue proprietà, scappare in Svizzera e scampare ad una nuova ondata di arresti dei membri appartenenti alla Giovine Italia.

Gaspare Rosales, una via mazziniana

Nel 1834 finanzia e partecipa alla spedizione per l’invasione della Savoia ma l’esito è negativo, la missione fallisce. Nonostante questo partecipa alla riunione per la fondazione della Giovine Europa. Cinque anni dopo ottiene da Metternich il permesso di rientrare in Lombardia, usufruendo dell’amnistia per i profughi politici del 1838.

Nel gennaio 1848 Gaspare Rosales viene arrestato precauzionalmente perché considerato pericoloso e condotto al carcere di Lubiana. Viene scarcerato nel marzo dello stesso anno e, da lì a poco, va a combattere come volontario nella prima guerra d’indipendenza.

Al rientro in Italia di Mazzini, avvenuto il 7 aprile 1848, dopo anni di esilio, viene ospitato nella casa della Cigalini in via Borgo Spesso a Milano che diventa il suo quartier generale. Nel frattempo Gaspare Rosales partecipa ad alcune sfortunate campagne militari a Bologna, Vicenza e in Toscana. Entra poi a far parte dell’esercito piemontese di volontari che combatte a fianco delle truppe regolari piemontesi e francesi con cui partecipa alla Battaglia di Magenta del 1859.

Negli ultimi anni della sua vita diventa di sindaco di Lomazzo. Gaspare Rosales muore a Como il 12 gennaio 1887.

gaspare rosales
gaspare rosales

Missoltini, per gli amanti dei gusti decisi!

Missoltini, polenta e lago di Como. Basta dire questo per individuare un piatto della tradizione povera che racchiude il segreto del suo sapore deciso nel procedimento di conservazione.

I missoltini sono il risultato di una trasformazione che parte dall’agone, passa dall’essiccatura e diventa il prodotto che, con pochi passaggi, viene servito sulle tavole insieme a una fetta di polenta arrostita, connubio perfetto per smorzare il gusto deciso del pesce.

La pesca dell’agone è regolamentata sin dall’epoca medievale: deve essere fatta unicamente nei mesi di giugno e luglio, nel periodo successivo alla posa delle uova e sui fondali sassosi. La pesca veniva effettuata su una particolare imbarcazione, il pendent: si ancorava un’estremità della rete a riva e l’altra alla barca che la tirava a semicerchio raccogliendo gli agoni.

Questi, poi, venivano puliti bucando il collo e levando le interiora, che venivano conservate per preparare il Culadur, un piatto fatto di interiora fritte con la cipolla. Successivamente si passava alla salatura dove si mettevano gli agoni in una bacinella alternati a strati di sale.

Dopo essere stati coperti con uno strofinaccio venivano lasciati 12 ore a spurgare dalla salamoia e si proseguiva con altre 12 ore dopo essere stati girati. Venivano poi infilzati con un ago curvo ed uno spago in modo da formare delle collane di pesce, risciacquati e appesi ad essiccare.

Una volta secchi, dopo un paio di giorni, venivano sfilati e preparati per la conservazione: la testa veniva schiacciata e poi si disponevano a raggiera nella missolta, un secchiello di legno o latta, alternandoli con strati di foglie mature di alloro. L’ultimo strato doveva arrivare due dita sotto il bordo del mastello per poter impilare più mastelli che venivano compressi da un torchio.

Questo metodo di preparazione permette una conservazione per lungo tempo. Come si preparano i missoltini? Vanno dapprima lavati con acqua tiepida e aceto per eliminare il sale e il grasso rassegato. Vengono poi grigliati per alcuni minuti. Una volta pronti vengono privati dalle scaglie, cosparsi di olio extra vergine di oliva, aceto e prezzemolo e poi serviti con la polenta abbrustolita. Una vera goduria per chi ama i gusti decisi.

missoltini
missoltini

Palazzo Moriggia: quanti passaggi di mano

Palazzo Moriggia fu costruita da Giuseppe Piermarini sul finire del 1700. L’incarico gli era stato dato dal marchese Giovanni Battista Moriggia. Alla morte di quest’ultimo il palazzo passò ai conti Besozzi.

Diversi i passaggi “di mano” di Palazzo Moriggia: dopo i Besozzi infatti andò ad Alessandro Trivulzio e quindi alla marchesa Lucia Pallavicini di Cremona. Seguirono altri avvicendamenti fino a quando nel 1900 fu la famiglia De Marchi ad impossessarsene per poi donarlo al Comune di Milano e da allora destinato alla sede del Museo del Risorgimento. 

Palazzo Moriggia venne costruito su quello che era il monastero degli Umilati: il portone con le due colonne ai lati che sorreggono il balcone è la prima cosa che si nota quando si arriva davanti e certamente non è l’unica bellezza che qui si può osservare; il cortile con i porticati ad archi introduce un altra serie di delizie che culminano ovviamente con tutto quello che qui viene conservato.

L’invito quindi è quello di gustare la ricca collezione, ma allo stesso tempo osservare con interesse anche tutto Palazzo Moriggia le cui facciate sono state restaurate in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

palazzo moriggia
palazzo moriggia

 

Museo del Risorgimento, prezioso scrigno in contrada dei nobili

Museo del Risorgimento, un luogo nato nel 1884 per volontà dei milanesi desiderosi di inviare all’esposizione Generale Italiana di Torino una raccolta di cimeli appartenenti all’epoca risorgimentale. Conclusa la mostra i reperti vennero in un primo momento posti nel Salone dei Giardini Pubblici di Porta Venezia e, successivamente, trasferiti al Castello Sforzesco.

Grazie al lascito di Marco de Marchi della sua residenza al Comune di Milano, il Museo del Risorgimento ha trovato posto nella contrada dei nobili, tra le stanze del Settecentesco Palazzo Moriggia progettato, nel 1755, da Giuseppe Piermarini.

La collezione qui custodita comprende opere d’arte, dipinti, stampe, armi e cimeli appartenenti non solo all’epoca napoleonica ma anche alle Guerre d’Indipendenza, alle Cinque Giornate di Milano e all’epopea garibaldina. Non solo, nel Museo del Risorgimento sono custoditi un archivio ed una biblioteca tra le più importanti in Italia per lo studio della storia nazionale recente.

museo del risorgimento
museo del risorgimento

Museo del Risorgimento

La storia è raccontata secondo l’ordine cronologico degli eventi: parte dal 1796 con i cimeli della prima campagna d’Italia di Napoleone e prosegue con i reperti della Repubblica Italiana del 1802-1805, fra cui le insegne regali dell’incoronazione di Napoleone Bonaparte a Re d’Italia.

Molte le testimonianze ascrivibili al periodo Imperiale che si protrae fino al 1814. Il percorso espositivo continua con le opere e gli oggetti appartenenti al quindicennio della Restaurazione e segue con quelli riconducibili alle Cinque Giornate di Milano. Alle pareti sono appesi diversi quadri che raccontano quel momento storico: “L’armeria del nobile Uboldi saccheggiata dagli insorti milanesi” di Carlo Bossoli o “Il combattimento di Porta Tosa durante le Cinque Giornate” di Carlo Cannella.

Arriviamo poi al periodo garibaldino della seconda e terza Guerra d’Indipendenza. Nelle sale è esposto un poncho con la camicia rossa del generale e ci sono importanti quadri come la “Battaglia di Magenta” o “L’imbarco dei Mille a Quarto” o “Ingresso di Vittorio Emanuele II in Venezia” di Gerolamo Induno.

Il Museo del Risorgimento, insieme al Palazzo Morando, conserva le raccolte storiche del Comune di Milano ed è, senza dubbio, un prezioso tesoro di una Milano tutta da vedere.

museo del risorgimento
museo del risorgimento