Il canto di Yamāntaka

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Il canto di Yamāntaka
Il canto di Yamāntaka

Il canto di Yamāntaka

“I bombardamenti su Milano del 1943 distrussero parte delle collezioni etnografiche di Castello Sforzesco.

Molti reperti furono distrutti, bruciati dal fuoco, altri invece non furono mai ritrovati tra le macerie determinate dai crolli che seguirono l’incendio. Dopo la guerra quei detriti furono trasportati fuori città fino a formare la collina artificiale Monte Stella a San Siro chiamata dai Milanesi “Montagnetta”.

Alcuni tra gli oggetti perduti in quella catastrofe giacciono dunque oggi nelle profondità della Montagnetta, con certezza poetica e alta probabilità fattuale. Quel patrimonio, proveniente dalle culture “altre” e custodito all’interno del dispositivo museografico universalista, fu distrutto, danneggiato o disperso. Una promessa tradita.

A distanza di 75 anni quel cumulo di macerie è diventato un parco, molto amato dai milanesi, un luogo dove dimenticare e ricordare allo stesso tempo durante il tempo libero mentre ci si prende cura di sè stessi, del proprio cane o dei propri hobby.

La scultura del “Distruttore della Morte” Yamāntaka (Cina, Dinastia Qing) fu recuperata, e pochi anni fa è stata magnificamente restaurata. Ma il suo corno sinistro, mai ritrovato, è ancora dentro la Montagnetta e con lui molte altre sue componenti importanti da un punto di vista religioso – tra queste la testa del Buddha posta al di sopra di quella di Yama e gli innumerevoli implementi tenuti nelle mani della divinità.

Questi frammenti perduti e la loro impossibile ricerca sono però l’occasione per immaginare una loro ricomposizione. Del resto lo stesso significato della scultura trascende la sua materialità immanente come ho intuito mentre ero ospite del centro buddista Kunpen Lama Gangchen durante una giornata di studio dedicata proprio a Yamāntaka, a cui ho partecipato. Durante la mia permanenza al centro ho constatato che quella che io credevo una forma del passato era in effetti una forza viva, presente e quotidianamente attiva nella vita delle persone che ho incontrato. Un monaco vedendo l’immagine fotografica di Yamāntaka subito dopo il recupero dai detriti mi ha detto: guarda come è viva.

La mia stessa presenza mi è apparsa come l’occasione che la scultura attendeva per tornare “a casa” senza del resto doversi muovere dalla sua teca di vetro. Saranno infatti i monaci – incidentalmente presenti in gran numero in Italia – e i praticanti ad accedere agli spazi del museo per consacrare Yamāntaka e reintegrarne il significato religioso – già menomato ben prima del bombardamento come emerge leggendo l’approssimativa descrizione della scultura ancora integra fatta al momento del suo acquisto da un mercante bolognese di manufatti esotici negli anni ’30.

“Il canto di Yamāntaka” si articolerà dunque in due momenti e dopo l’azione rituale all’interno del Mudec i monaci si sposteranno sul Monte Stella per una Puja prima del tramonto (nel luogo costruito dai milanesi per trascendere il trauma della distruzione) come auspicio per un superamento nella saggezza (caratteristica di Yamāntaka) dei conflitti che attanagliano anche il mondo attuale, dove paura, odio ed esclusione – su base etnica, religiosa o sociale – dominano le relazioni umane nei vicinissimi paesi in guerra, come in quelli in pace apparente.

La doppia azione rituale potrà forse ricomporre la figura di Yamāntaka prima della distruzione dove la testa serena del Buddha dominava quella furiosa di Yama. Con la consapevolezza che il significato più profondo della scultura rimanda comunque ad altro.”

Leone Contini

Lunedì 2 luglio, dalle 15.30 alle 20.00 Via Tortona 56 – INGRESSO GRATUITO



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