Se sei milanese (o ti senti tale), lo sai bene: qui non è importante solo quanto lavori, ma quanto lo racconti.
Ogni conversazione – dal bar al tram, dall’aperitivo alla chat di gruppo – ha una regola non scritta: ricordare agli altri che tu stai lavorando più di loro.
Frasi tipiche del “lavoro cronico”
Le riconosci subito. Alcuni esempi da manuale:
“Guarda, oggi non dovevo neanche uscire, ho una marea di cose da fare…”
“In ufficio è un delirio, non so da che parte girarmi.”
“Io ferie? Macché, non so nemmeno se arrivo a Natale.”
E il tutto, ovviamente, detto davanti a un Negroni o a un calice di bianco ghiacciato. Perché l’ossessione è quella: lavorare sì, ma raccontarlo ancora di più.
Perché lo facciamo?
Tre ipotesi, tutte valide:
Competizione implicita – A Milano il tempo è moneta, e chi ha l’agenda più piena… ha vinto.
Autocommiserazione di lusso – Piangersi addosso, ma con stile: meglio se davanti a un tagliere di salumi.
Puro riflesso condizionato – Come dire “ciao”: qui si dice “sto lavorando tantissimo”.
Il lato comico della faccenda
Il bello è che, mentre ti raccontiamo quanto siamo oberati, stiamo comunque trovando il tempo di:
Scrollare Instagram.
Commentare un articolo su Milano.
Partecipare a un aperitivo di due ore “perché tanto ci voleva una pausa”.
Ma guai a non specificare: “Guarda che domani non so se ci sono, ho una giornata pienissima”.
E voi?
Diteci la verità: anche voi fate parte della categoria “io lavoro più di tutti”?
O siete tra quelli che sorridono e lasciano correre?
Scrivetelo nei commenti, che poi – ovviamente – risponderemo… appena finiamo di lavorare.
Forse a Milano non siamo ossessionati dal lavoro.
Siamo ossessionati dal dire che stiamo lavorando. Che, a pensarci bene, è un lavoro pure quello.

