Se a Roma si parla del tempo, a Milano si parla del traffico. Sempre.
Che tu esca di casa alle 7 del mattino o alle 10 di sera, la frase di rito è una sola:
“C’era un traffico pazzesco.”
E poco importa se le strade erano semivuote, se il semaforo è diventato verde in tre secondi, se sei arrivato in anticipo. Per noi milanesi il traffico non è una realtà: è un concetto filosofico.
Le varianti della frase
Il bello è che la formula si adatta a ogni situazione:
“Non hai idea, tangenziale bloccata.”
“Sulla circonvallazione non si muoveva una foglia.”
“In centro era un delirio, non sai cosa ho passato.”
Dettaglio ironico: il tutto detto anche quando si è arrivati freschi, puntuali e senza un graffio.
Perché lo facciamo?
Tre spiegazioni plausibili:
Giustificazione preventiva – Nel dubbio di un ritardo, meglio dire che “c’era traffico”.
Competizione al contrario – Più il viaggio è stato “duro”, più sei un eroe metropolitano.
Tradizione orale – Come il “buongiorno”, a Milano si dice “c’era traffico”. Fa parte della liturgia urbana.
Il lato comico
Il paradosso è che spesso raccontiamo di code epiche… mentre siamo comodamente seduti a un tavolino, con un calice di bianco in mano, e nessuno ha fatto un minuto di fila. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dire: “Sei qui? Non sai che giro ho fatto per arrivare.”
E voi?
Confessate: usate anche voi il “traffico” come passepartout per spiegare ogni ritardo, ogni stanchezza, ogni sbuffo?
Oppure siete tra i pochi che ammettono: “No guarda, oggi andava liscia.”
Il traffico a Milano non è un problema di viabilità. È un patrimonio culturale immateriale.
E anche se un giorno sparisse, noi continueremmo a dirlo.

