In altre città la pausa pranzo è un momento sacro.
A Milano, invece, è un cronometro che parte appena lasci la scrivania.
Totale disponibile: 25 minuti. Non uno di più.
Il rituale del pranzo milanese
Ecco lo schema tipo:
5 minuti per decidere cosa ordinare (di solito il solito panino o l’insalata “light”).
15 minuti netti per mangiare, rispondendo a due mail col cellulare con la mano libera.
5 minuti per tornare in ufficio, possibilmente già con la call delle 14 accesa nelle cuffie.
Totale: 25 minuti. Cronometrati. E se qualcuno osa dire “andiamo con calma”, viene automaticamente radiato dall’ufficio.
Perché lo facciamo?
Tre motivi possibili:
Ansia da produttività – Più tempo passi a tavola, più ti senti in colpa.
Competizione segreta – Chi mangia più in fretta vince (cosa, non si sa).
L’illusione dell’efficienza – Perché il pranzo veloce ti fa sentire un super manager… anche se poi resti bloccato mezz’ora in coda in tangenziale.
Il lato comico della faccenda
La verità? Quel panino lo potresti mangiare anche in 40 minuti. Ma no: a Milano il tempo è denaro, e un morso in più può sembrare un investimento sbagliato.
Risultato: arrivi al pomeriggio con la fame da lupi e alle 18 sei già in fila al bar per l’aperitivo “rinforzato”.
E voi?
Confessate: siete anche voi della scuola “25 minuti e torno”?
O siete tra i coraggiosi che si siedono, si rilassano e rischiano l’ira del capo?
Il pranzo a Milano non nutre. Cronometra.
E forse, più che un’ossessione, è il nostro modo per ricordarci che la vita qui… corre più del tempo.

