Sì, avete letto bene: soffro di bibliosmia. Non è una sindrome rara, né una parolaccia in greco antico, ma un fenomeno che potremmo definire poeticamente disturbante: la passione compulsiva per il profumo dei libri.
Chi come me convive con la bibliosmia sa di cosa parlo: quell’aroma di carta, inchiostro e tempo che si sprigiona ogni volta che sfogli le pagine di un libro. Che sia nuovo di stampa o ingiallito dall’età, per me non fa differenza: sentire quell’odore significa entrare in un mondo parallelo. Altro che fragranze di lusso: datemi un vecchio manuale scolastico o un romanzo uscito da una tipografia artigianale, e sarò felice come un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria.
A qualcuno questa mia mania appare bizzarra. C’è chi teme io stia controllando la presenza di muffa, e chi pensa abbia bisogno di uno specialista. E forse un consulto potrei anche farlo — ma non certo per smettere. Perché la bibliosmia non è un difetto, è una forma di bellezza.
Bibliosmia: non ne voglio guarire
L’odore dei libri racconta storie ancora prima che inizino. Evoca memorie, stimola la fantasia, ti fa viaggiare nel tempo attraverso le emozioni. È un richiamo, una porta segreta, un modo di scoprire la storia della carta prima ancora delle parole.
Io annuso libri, lo confesso senza vergogna. Anzi, con orgoglio. La bibliosmia è una piccola follia che rende l’amore per la lettura ancora più profondo, più carnale, più completo. Perché non ci sono solo gli occhi a leggere: ci sono le mani che accarezzano le pagine, e soprattutto il naso che ne assorbe l’anima.
No, non voglio guarire. Non voglio rinunciare al piacere di perdermi in questo profumo di storie, di sogni e di viaggi. Se significa essere un po’ strano, pazienza. Preferisco essere strano ma felice, con un libro sotto il naso.