C’è un principio non scritto, ma profondamente radicato nelle democrazie moderne: sei imbecilli valgono più di quattro scienziati. È la legge dei numeri, la base stessa della democrazia: una persona, un voto. Eppure, vale la pena chiedersi se questa regola sia davvero il miglior modo per garantire il bene comune. L’epistocrazia, ovvero il governo dei competenti, suggerisce che merito, conoscenza e preparazione dovrebbero contare più della semplice forza numerica. Una provocazione? Forse. Ma anche un ragionamento che merita attenzione.
Il problema della democrazia senza competenza
La democrazia presuppone che tutti i cittadini siano uguali nelle loro capacità di giudizio e che la somma delle opinioni crei una decisione ottimale. Questo concetto, però, entra in crisi di fronte a fenomeni evidenti: fake news, populismo, demagogia e manipolazione mediatica. In un’epoca in cui chi urla più forte ha più visibilità di chi argomenta con rigore, l’idea che il voto di chi non sa nulla di economia, diritto o scienza politica valga quanto quello di un esperto suona sempre più problematica.
Basti pensare a decisioni politiche fondamentali, come la gestione di una pandemia, il cambiamento climatico o la regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Questi temi richiedono conoscenze tecniche avanzate, ma vengono spesso affidati al giudizio popolare, influenzato più dalle emozioni che dalla razionalità. In questi casi, è legittimo chiedersi: la quantità può davvero sostituire la qualità del pensiero?
La proposta epistocratica
L’epistocrazia non propone una dittatura degli esperti, ma un sistema in cui il sapere e la competenza abbiano un ruolo più determinante nelle decisioni politiche. Esistono molte declinazioni di questa idea: alcuni suggeriscono che il voto debba essere pesato in base alla conoscenza dimostrata, altri che solo chi supera un test di competenza possa votare su determinate questioni. Altri ancora ipotizzano camere legislative composte esclusivamente da esperti selezionati.
L’obiettivo non è escludere i cittadini, ma proteggerli dalle conseguenze della loro stessa ignoranza. Oggi non affideremmo la costruzione di un ponte a chi non ha studiato ingegneria, eppure affidiamo decisioni su economia, sanita e tecnologia a elettori che spesso non sanno distinguere una fake news da un dato scientifico.
Democrazia ed epistocrazia: una sintesi possibile?
Se l’epistocrazia può sembrare elitaria, è altrettanto vero che la democrazia ha bisogno di un correttivo per evitare derive irrazionali. La soluzione potrebbe essere un modello misto: una democrazia che premi la conoscenza e stimoli la crescita culturale dei cittadini. Ciò potrebbe realizzarsi attraverso test di alfabetizzazione civica, programmi educativi obbligatori e una maggiore trasparenza nell’informazione.
L’ideale sarebbe una cittadinanza consapevole, in cui il voto non sia solo un diritto, ma anche una responsabilità esercitata con cognizione di causa. Se vogliamo una società in cui le decisioni siano prese con razionalità e lungimiranza, dobbiamo chiederci se sia davvero un problema che quattro scienziati valgano più di sei imbecilli. Forse il vero problema è che oggi non valgono abbastanza.