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E domani è lunedì, arancione

Dopo un sabato rosso ecco una domenica e, domani, un lunedì arancione. Mai avrei immaginato di essere contento di aspettare un inizio settimana di questo colore. Buttandola sul ridere per un attimo, se un anno fa vi avessero detto che avremmo vissuto “a colori” non mi sarebbe venuto da sorridere pensando ad uno scherzo?

Ed invece no, nessuno scherzo, ma la realtà dei fatti: domani inizia una settimana dove una seppure minima parvenza di normalità (anche se come già detto altre volte, di normale, inteso come si viveva 12 mesi fa, c’è ben poco) la ritroveremo

In primis il rientro a scuola, seppur al 50%, degli studenti delle superiori: se indiscutibilmente ci troveremo tra 48 ore a discutere sulla tenuta dei mezzi, dell’affollamento e altre discussioni in tema, dal canto mio credo che questa sia una buona notizia.

Troppo tempo lontano dai banchi (normali ed a rotelle) e soprattutto dai professori e dai compagni per i nostri ragazzi. La scuola, tutta, è fondamentale: con tutte le sue problematiche (perchè diciamocelo: oggi non vediamo l’ora che i ragazzi possano tornarci, ma i problemi della scuola italiana sono anche altri, covid a parte) il rientro a scuola è straordinariamente importante.

Per essere precisi: io non ho nulla contro la dad. Credo sia uno strumento molto importante, ma non può sostituire la scuola tradizionale. E non può farlo soprattutto nei modi che abbiamo visto fino ad oggi.

E poi domani, grazie all’arancione, potranno riaprire i negozi che per una settimana, la scorsa, hanno dovuto stare chiusi. Tutto a posto? Neanche per idea. Mancano ancora tanti tasselli. E non mi riferisco al fatto che dovremmo presto andare in giallo o bontà del virus, in bianco (avreste mai detto di essere contenti di andare in bianco? Immagino di no, ma adesso…): sappiamo tutti che per ricominciare davvero abbiamo bisogno di ben altro.

Abbiamo bisogno certamente che tutto sia aperto, senza orari, senza asporti obbligati e senza coprifuoco, ma quel che deve tornare è la gente. Milano, ma ovviamente è un discorso applicabile grosso modo un po’ per tutte le grandi città, ha la necessità di riavere quei flussi di persone in giro per le strade. Chi per lavoro, chi per turismo, chi perchè torna qui a lavorare dopo mesi di smartworking.

Basterà il vaccino? Basterà debellare il virus? Personalmente non credo. O per meglio dire non lo credo fino in fondo. Se è indubbio che la sconfitta del coronavirus permetterà di potersi muovere con più facilità e con meno ansia, questo (quasi) 12 mesi hanno rivoluzionato molti modi di fare, pensare, agire e comportarsi.

Quello di cui abbiamo bisogno, è un mio pensiero personale, è un nuovo modo di far vivere la città, un insieme di azioni che vadano a cambiare anche il modo di fruirne. Per certi versi, abbiamo la necessità di reinventarci. Storicamente Milano c’è riuscita diverse volte. Chissà se questa volta vivremo questa trasformazione e soprattutto se saremo capaci di esserne protagonisti

 

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